Tutto iniziò la sera di Halloween
di vent’anni fa: abitavo in periferia e preso dall’euforia della festa del
paese, andai in giro con Mirco e una ciotola, bussando alle porte chiedendo
“dolcetto o scherzetto”; non fu come ce lo saremmo aspettato, per lo più i
nostri vicini non conoscevano quest’usanza e a noi toccava spiegargliela, ma
nonostante ciò prendemmo un piccolo gruzzoletto di dolciumi; arrivando in fondo
alla via rimaneva solo la casa del vecchio custode del campo sportivo, il
campanello non c’era e allora bussammo alla porta, ma niente, al secondo
tentativo, la porta si aprì, cigolando: Mirco lanciò un “c’è nessuno?” Ma non
ottenemmo risposta.
In qualsiasi momento avrei fatto
dietro-front, ma quella sera, forse per quella casa avvolta dal mistero, fu più
forte di me: spalancai la porta ed entrai, feci due passi e i miei piedi
provocarono dei cigolii sinistri sul pavimento di parquet, voltandomi non vidi
più Mirco sull’uscio della porta e pensai “quel fifone”; noncurante avanzai
verso la porta in fondo al corridoio, dove da uno spiraglio traspariva una luce
fioca, mi feci coraggio e spalancai l’uscio: sul tavolo, in centro alla stanza,
c’era Mirco girato di schiena e per terra erano sparse una moltitudine di
caramelle e cioccolatini semi masticati, girando attorno al tavolo, il mio
amico mangiava dei dolciumi, con le mani e la bocca sporche di cioccolato, ma
il suo stomaco era squarciato e più mangiava e più il cibo cadeva per terra.
Volse lo sguardo su di me e disse
“vuoi mangiare anche tu? Tieni” allungandomi una tavoletta di cioccolato sporca
del suo sangue, io mi girai di scatto e corsi verso la porta, ma non riuscii ad
aprirla, come se qualcuno la tenesse; uno, due, tre strattoni e mentre il
panico mi stava assalendo riuscii ad aprirla: dall’altra parte intravidi Mirco
che mi disse “non vuoi giocare con me?”, lasciai la maniglia e la porta si
chiuse di scatto. Qualcuno mi tocco sulla schiena, ormai preso dal puro terrore
mi girai e vidi Mirco con gli occhi sbarrati che ripeteva cantilenando “indietro
non puoi tornare”, mi voltai e aprii la porta, questa volta senza nessuna
resistenza, percorsi il corridoio verso la porta d’ingresso e uscii da quella
casa, udendo una risata sommessa, fu l’ultima volta che vidi il mio amico.
…
Sera del trentun ottobre 2010, aria
gelida e un filo di nebbia, non so cosa mi ha spinto a tornare, o forse sì, da
anni gli incubi che non tormentavano più le mie notti erano ritornati e
cominciavano a essere sempre più frequenti: non potevo più tirarmi indietro.
Così mi ritrovo ancora davanti a quell’uscio: la casa, disabitata da anni, sta
in piedi per miracolo e devo forzare la porta d’ingresso, spingendo l’uscio che
fatica ad aprirsi per l’ingrossatura del legno, in uno stretto varco entro e
con una pila indirizzo il raggio di luce su quell’altra porta, allontanando le
ragnatele, mi avvicino e appena la sfioro, questa si apre.
Un forte odore pervade le mie
narici e guardando attorno, vedo solo avanzi di cibo e un vecchio letto di
paglia, rifugio di qualche senza tetto; aggirando il tavolo, il mio cuore
comincia a battere più velocemente e la mia mente comincia ad annebbiarsi:
barcollo e mi aggrappo al bordo del tavolo, un capogiro più forte e mi ritrovo
sul tavolo di schiena, come una tartaruga e non riesco né a rialzarmi né a
muovermi. Con la coda dell’occhio intravedo qualcosa, un’ombra, ruoto la testa
lentamente ma questa scompare, un brivido di freddo mi trapassa il corpo,
chiudo gli occhi per un attimo e poi li riapro, davanti a me c’è Mirco, la
pelle del suo viso è invecchiata, rugosa, piena di lividi e di tagli, ma pur
sempre quella di un bambino: mentre lo guardo, un dolore lancinante al ventre,
abbasso lo sguardo e vedo il coltello che impugna infilato nel mio stomaco, lo
sposta verso destra e verso sinistra lacerandomi le carni mentre un fiotto di
sangue si riversa sull’asse del tavolo e poi per terra, infilandosi nelle fughe
del parquet.
Sono pervaso da un altro brivido di
freddo quando mette le mani dentro il mio ventre maciullato e tira fuori
l’intestino: uno, due, tre metri, e avvolgendomelo intorno al mio collo cerca
di soffocarmi: inerme sul tavolo comincio a tremare, un tremito incontrollabile
e cerco invano di afferrargli le mani per far allentare la presa, ma la vista
comincia ad appannarsi, un respiro sommesso, gli occhi che si chiudono e il
cuore che batte come un martello; poi un forte dolore alla nuca, riesco a
mettermi una mano sui capelli e riaprendo gli occhi mi trovo steso sul
pavimento nella stanza deserta; guardo subito il mio ventre, ma non c’è sangue:
“È stata un’allucinazione, forse vittima del mio stress” penso tra me e me e
quindi mi rialzo in piedi e barcollo per un attimo, appoggiandomi al tavolo per
non cadere.
Trascorso qualche secondo, esco
dalla stanza e mi dirigo verso la porta d’ingresso, mentre sto per toccare la
maniglia, sento bussare alla porta,
la apro e mi ritrovo davanti due bambini che mi chiedono “dolcetto o
scherzetto?”, rimango meravigliato per qualche secondo, senza parole, come se
mi guardassi in uno specchio, poi cercando di non farmi prendere dal panico
riesco ad abbozzare un “non ho niente”, ma mentre uno dei due bambini scappa
improvvisamente, l’altro indicandomi dice “e quello cos’è?”; abbassando lo
sguardo vedo un cioccolatino, posato sulla punta del coltello che esce dalla
mia pancia: cado in avanti restando per un attimo in ginocchio e poi
accasciandomi sul montante destro della porta, mentre il bambino, con occhi
innocenti mi dice “non vuoi giocare con me?”. Con la vista annebbiata e con il
sangue che esce copioso dal mio stomaco, scorgo alla mia sinistra una figura,
un bambino che si avvicina e che mi sussurra all’orecchio “indietro non puoi
tornare”: è l’ultima cosa che vedo.
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