31.10.12

SWEET HALLOWEEN

Visto che piove a dirotto... meglio stare tutti a casa, a lume di candela, leggendosi dei bei racconti dell'orrore... Ve ne segnalo uno, scritto due anni fa dall'Omar, ed inserito nella raccolta "Speciale Halloween 2010" del sito sognihorror, ora http://sognihorrorblog.webnode.it/... è un po' splatter, quindi se ne consiglia la lettura ad un pubblico adulto e poco impressionabile... uahaauuauauauauauauuuaa

Tutto iniziò la sera di Halloween di vent’anni fa: abitavo in periferia e preso dall’euforia della festa del paese, andai in giro con Mirco e una ciotola, bussando alle porte chiedendo “dolcetto o scherzetto”; non fu come ce lo saremmo aspettato, per lo più i nostri vicini non conoscevano quest’usanza e a noi toccava spiegargliela, ma nonostante ciò prendemmo un piccolo gruzzoletto di dolciumi; arrivando in fondo alla via rimaneva solo la casa del vecchio custode del campo sportivo, il campanello non c’era e allora bussammo alla porta, ma niente, al secondo tentativo, la porta si aprì, cigolando: Mirco lanciò un “c’è nessuno?” Ma non ottenemmo risposta.
In qualsiasi momento avrei fatto dietro-front, ma quella sera, forse per quella casa avvolta dal mistero, fu più forte di me: spalancai la porta ed entrai, feci due passi e i miei piedi provocarono dei cigolii sinistri sul pavimento di parquet, voltandomi non vidi più Mirco sull’uscio della porta e pensai “quel fifone”; noncurante avanzai verso la porta in fondo al corridoio, dove da uno spiraglio traspariva una luce fioca, mi feci coraggio e spalancai l’uscio: sul tavolo, in centro alla stanza, c’era Mirco girato di schiena e per terra erano sparse una moltitudine di caramelle e cioccolatini semi masticati, girando attorno al tavolo, il mio amico mangiava dei dolciumi, con le mani e la bocca sporche di cioccolato, ma il suo stomaco era squarciato e più mangiava e più il cibo cadeva per terra.
Volse lo sguardo su di me e disse “vuoi mangiare anche tu? Tieni” allungandomi una tavoletta di cioccolato sporca del suo sangue, io mi girai di scatto e corsi verso la porta, ma non riuscii ad aprirla, come se qualcuno la tenesse; uno, due, tre strattoni e mentre il panico mi stava assalendo riuscii ad aprirla: dall’altra parte intravidi Mirco che mi disse “non vuoi giocare con me?”, lasciai la maniglia e la porta si chiuse di scatto. Qualcuno mi tocco sulla schiena, ormai preso dal puro terrore mi girai e vidi Mirco con gli occhi sbarrati che ripeteva cantilenando “indietro non puoi tornare”, mi voltai e aprii la porta, questa volta senza nessuna resistenza, percorsi il corridoio verso la porta d’ingresso e uscii da quella casa, udendo una risata sommessa, fu l’ultima volta che vidi il mio amico.
Sera del trentun ottobre 2010, aria gelida e un filo di nebbia, non so cosa mi ha spinto a tornare, o forse sì, da anni gli incubi che non tormentavano più le mie notti erano ritornati e cominciavano a essere sempre più frequenti: non potevo più tirarmi indietro. Così mi ritrovo ancora davanti a quell’uscio: la casa, disabitata da anni, sta in piedi per miracolo e devo forzare la porta d’ingresso, spingendo l’uscio che fatica ad aprirsi per l’ingrossatura del legno, in uno stretto varco entro e con una pila indirizzo il raggio di luce su quell’altra porta, allontanando le ragnatele, mi avvicino e appena la sfioro, questa si apre.
Un forte odore pervade le mie narici e guardando attorno, vedo solo avanzi di cibo e un vecchio letto di paglia, rifugio di qualche senza tetto; aggirando il tavolo, il mio cuore comincia a battere più velocemente e la mia mente comincia ad annebbiarsi: barcollo e mi aggrappo al bordo del tavolo, un capogiro più forte e mi ritrovo sul tavolo di schiena, come una tartaruga e non riesco né a rialzarmi né a muovermi. Con la coda dell’occhio intravedo qualcosa, un’ombra, ruoto la testa lentamente ma questa scompare, un brivido di freddo mi trapassa il corpo, chiudo gli occhi per un attimo e poi li riapro, davanti a me c’è Mirco, la pelle del suo viso è invecchiata, rugosa, piena di lividi e di tagli, ma pur sempre quella di un bambino: mentre lo guardo, un dolore lancinante al ventre, abbasso lo sguardo e vedo il coltello che impugna infilato nel mio stomaco, lo sposta verso destra e verso sinistra lacerandomi le carni mentre un fiotto di sangue si riversa sull’asse del tavolo e poi per terra, infilandosi nelle fughe del parquet.
Sono pervaso da un altro brivido di freddo quando mette le mani dentro il mio ventre maciullato e tira fuori l’intestino: uno, due, tre metri, e avvolgendomelo intorno al mio collo cerca di soffocarmi: inerme sul tavolo comincio a tremare, un tremito incontrollabile e cerco invano di afferrargli le mani per far allentare la presa, ma la vista comincia ad appannarsi, un respiro sommesso, gli occhi che si chiudono e il cuore che batte come un martello; poi un forte dolore alla nuca, riesco a mettermi una mano sui capelli e riaprendo gli occhi mi trovo steso sul pavimento nella stanza deserta; guardo subito il mio ventre, ma non c’è sangue: “È stata un’allucinazione, forse vittima del mio stress” penso tra me e me e quindi mi rialzo in piedi e barcollo per un attimo, appoggiandomi al tavolo per non cadere.
Trascorso qualche secondo, esco dalla stanza e mi dirigo verso la porta d’ingresso, mentre sto per toccare la
maniglia, sento bussare alla porta, la apro e mi ritrovo davanti due bambini che mi chiedono “dolcetto o scherzetto?”, rimango meravigliato per qualche secondo, senza parole, come se mi guardassi in uno specchio, poi cercando di non farmi prendere dal panico riesco ad abbozzare un “non ho niente”, ma mentre uno dei due bambini scappa improvvisamente, l’altro indicandomi dice “e quello cos’è?”; abbassando lo sguardo vedo un cioccolatino, posato sulla punta del coltello che esce dalla mia pancia: cado in avanti restando per un attimo in ginocchio e poi accasciandomi sul montante destro della porta, mentre il bambino, con occhi innocenti mi dice “non vuoi giocare con me?”. Con la vista annebbiata e con il sangue che esce copioso dal mio stomaco, scorgo alla mia sinistra una figura, un bambino che si avvicina e che mi sussurra all’orecchio “indietro non puoi tornare”: è l’ultima cosa che vedo. 

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